Ne hanno fatto un documentario e un libro. Ora ci vorrebbe il film. La storia di Santo Stefano di Sessanio e del suo magnifico albergo diffuso Sextantio è davvero avvincente.
Santo Stefano di Sessanio è un borgo medioevale fortificato edificato tra le montagne dell’Abruzzo, ad oltre 1250 metri di altitudine, all’interno del Parco Nazionale Gran Sasso. Ha solo 115 abitanti, che diventano circa una settantina durante l’inverno. L’età media è di 52 anni, con 41 abitanti che hanno superato i 65 anni e solo tredici sotto i 20 anni. “Si gira in un’oretta a piedi con mooooolta calma” scrive una recensione online. Certo, l’oretta diventa ancora più piacevole se ci si ferma nei suoi negozi di prodotti tipici (soprattutto di lana e miele) o in uno dei suoi ristoranti. I paesaggi di queste montagne sono magici, ogni roccia parla di vite vissute, e anche il silenzio qui sembra uno strumento per raccontare la sua storia.
Purtroppo è una storia fin troppo comune in queste parti dell’Italia. Poco lavoro, molta emigrazione, in 100 anni una diminuzione della popolazione che raggiunge circa il 90%. Santo Stefano di Sessanio sembra davvero destinato a diventare un borgo fantasma. Poi, inaspettato, inatteso, arriva un cavaliere un po’ ribelle che cambia il suo destino. Si chiama Daniele Kihlgren, è l’erede di una famiglia di imprenditori di cemento di Milano, e in queste poche case su una rocca vede qualcosa che altri non avevano visto. Qualcosa di intenso e desolato. Qualcosa che non si può lasciare morire. E si mette al lavoro per ridare vita a queste mura, e fondare Sextantio, un albergo diffuso che permette di far conoscere questo angolo di paradiso al resto del mondo.
Avvincente, no?
Daniele Kihlgren, dicevamo, scopre il borgo negli anni novanta, durante un viaggio in sella alla sua moto lungo la penisola, e in qualche modo diventa il paladino della sua rinascita. Non è il classico imprenditore alla ricerca di una miniera d’oro, è più un filosofo visionario, un’esploratore con la passione per recuperare le cose che sembrano perdute. E tale sembra essere rimasto ancora oggi, sia come protagonista carismatico del documentario “La nostra pietra” di Alessandro Soetje e di un libro autobiografico molto personale e aperto che si intitola proprio “I tormenti del giovane Kihlgren”.
“Spesso le gente che viene da fuori – che può essere Roma come Melbourne – è quella che ha più amore per questi luoghi. Spesso più degli abitanti originari” ci dice senza mezzi termini, parlando di Santo Stefano durante una serie di telefonate tra New York e il Rwanda, all’insegna dei fusi orari e della connessione wifi non sempre molto affidabile.
“E’ brutto ma molto vero”, aggiunge con un realismo che sembra contraddistinguerlo. E’ irriverente e anticonformista al punto giusto, abbastanza da intraprendere progetti che altri riterrebbero una causa persa. Come questo patrimonio storico più povero, minore, vernacolare. Non a caso si trova in viaggio tra Congo e Rwanda ormai da settimane, come fa ormai da qualche anno, per per portare avanti il suo programma di assistenza alle comunità bisognose di quelle zone tramite l’Associazione ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale) Sextantio.
Insomma, non bisogna per forza distruggere e ricostruire per andare avanti, si può migliorare e ripristinare il meglio di quello che c’è già. La filosofia di Sextantio ha come obiettivo progettuale di fondo il rapporto di reciproca integrità tra il borgo e il territorio circostante a tutela del paesaggio, mantenuto in vita anche grazie al restauro e a vari aspetti delle culture materiali di queste terre. Successivamente il progetto arriva anche ai Sassi di Matera e le sue grotte rupestri, perseguendo con diligenza la tutela dell’identità del territorio di quella che nel 2019 fu scelta come la città europea capitale della cultura, ma con un approccio meno fattuale e più simbolico.
“Non è che possiamo andare a Piazza Corsini, rubarne il camino, e metterlo a Piazza Farnese. Nel patrimonio storico di cui ci siamo occupati noi, nel caso del borgo di Santo Stefano di Sessanio, questo è possibile. Qui il materiale di recupero è più sovrapponibile, e più sostituibile” spiega, parlando del lavoro sistematico che lui e il suo gruppo hanno intrapreso con passione.
Hanno trovato il materiale di recupero nelle cantine, nelle discariche. “Come se fossero oggetto di una specie di damnatio memoriae, di rimozione collettiva” spiega con un tono che esprime il profondo legame emotivo che lo unisce a questo progetto visionario. Ora spera che le che cose siano diverse, e che questo patrimonio possa essere rivalutato anche in altre parti dell’Italia, e del mondo. ”La globalizzazione ha come alter ego ha l’identità territoriale di questi luoghi locali, di periferia, di marginalità, che hanno conservato maggiormente l’identità e che 70 anni fa non significavano nulla”.
Allora non significavano nulla perché i riflettori erano puntati sulle grandi opere. Questi sono luoghi creati da persone comuni, non da architetti o designer, o da personaggi della storia. Daniele non fa nemmeno imbiancare i muri per mantenere traccia delle persone che sono passate per queste strade. Sono luoghi carichi di energia e di storia, e dare importanza alla storia comune, quella di tutti i giorni, “è fondamentale”. Soprattutto in Italia, un paese che ha un patrimonio inestimabile da questo punto di vista, spesso cancellato o escluso dal paradigma della classicità.
L’idea è di conservare il paesaggio anziché, come troppo spesso accade, trarre profitto dalla sua devastazione. Grazie anche all’attività di ristrutturazione sostenuta da Sextantio e del suo progetto culturale, a Santo Stefano di Sessanio le strutture ricettive di tipo alberghiero si sono moltiplicate – da 3 ad oltre 20 – andando a ristrutturare la parte abbandonata del paese. Ora l’Albergo Diffuso Sextantio rappresenta circa il 30% delle camere del borgo. Anche il terribile terremoto del 2009 sembra un lontano ricordo: fortunatamente non ci sono state vittime, in qualche modo grazie anche al fatto che il 70% delle case danneggiate fossero seconde case. Da quella disgrazia nacque un forte spirito di solidarietà e, invece di abbattersi e gettare la spugna, i residenti si rimboccarono le mani, aprirono un centro di accoglienza, si fecero forza e si aiutarono a vicenda.
Certo, le cose non cambiano in un giorno, ma Daniele e il suo team ce la mettono tutta. Ci credono. Il patrimonio minore, i villaggi della cultura rurale, vanno tutelati nelle tracce di un vissuto antico, nell’anima più profonda e autentica di questi luoghi. Dalla coperta di lana alle prese della corrente fino all’assenza della televisione, dai catini alle candele nelle camere. Antico e moderno coesistono in armonia, grazie ad una cura estrema per i dettagli, e un’atmosfera davvero magica a detta degli ospiti.
“Il turismo è normalmente quello che uccide le identità territoriali. Le massacra” ci dice Daniele. Come conciliare quindi la voglia di veder crescere il borgo con la paura che venga travolto dal turismo? Secondo lui la risposta sta nel puntare su progetti estremi, esagerati. Creare luoghi dove l’aspetto progettuale sia più importante della destinazione finale di tipo turistico. “Ovviamente questi luoghi, una volta che diventano dei luoghi turistici, diventano mostruosi. Come Firenze, Venezia, luoghi bellissimi, dove il turismo ha massacrato questa atmosfera.”
Per evitare la tendenza spesso comune di mistificare le cose, a Sextantio sono partiti dal material iconografico, dalle fotografie della zona, delle montagne d’Abruzzo, dagli archivi. E hanno cercato di fare una ricostruzione reale del luogo e della sua anima, mantenendo un po’ quell’ascetismo calvinista che questi posti avevano da sempre. “Viverli è un’esperienza. Bisogna essere un po’ estremisti come risposta a quell’aspetto di perversione che il turismo suscita sempre nei riguardi dell’identità, altrimenti il turismo rovina questi luoghi” aggiunge, dichiarandosi orgoglioso di tutti gli elementi semplici del luogo.
Hanno cercato di fare una ricostruzione reale. Evitando quelle che lui chiama “la rimozione collettiva e la feticizzazione pseudo turistica”. “Ad esempio qui in Rwanda, il museo della casa dove viveva il re e le fotografie che ritraevano la sua casa sono diversi” spiega per farci capire meglio il concetto. Qui il paesaggio non è stato corrotto per diventare uno stereotipo di bellezza e piacere italiano, e non ha subito la sterilizzazione di molti interventi moderni.
La crisi demografica del borgo è, però, ancora un problema. Fabio Santavicca, il giovane sindaco del borgo rieletto da poco con un secondo mandato, ha quindi firmato un bando per attrarre nuovi residenti ed invogliare le persone giuste a trasferirsi da queste parti. Ne hanno parlato persino alla Cnn, e su una lunga lista di riviste. “Questo paese idilliaco ti paga per trasferirti lì a vivere e lavorare” scrive CQ.
I candidati devono essere abbastanza giovani (tra i 18 e i 40 anni), cittadini italiani o stranieri con permesso di soggiorno, e avere tanta voglia di fare. Ci vuole il capitale umano necessario per uno sviluppo sostenibile e duraturo del territorio, in cambio di un contributo e un’abitazione ad un affitto simbolico i nuovi residenti dovranno quindi avere delle conoscenze da apportare al borgo, ed essere preparati a rimanere a Santo Stefano di Sessanio per almeno 5 anni.
Daniele ovviamente conosce bene questa iniziativa, e quelli che li hanno fatta. “Bisogna poi vedere come scelgono, quello che fa lo storico dell’arte, quello che fa l’accompagnatore turistico specializzato nella fauna e flora appenninica, l’altro sull’architettura medievale abruzzese” ci dice. Insomma, “se c’è un discorso di questo genere, serio sul prodotto che abbiamo noi dal punto di vista storico e naturalistico, penso che possa essere una buona cosa” aggiunge.
Per ora le domande sono state tante, nonostante la pandemia. Questa pandemia che ha portato delle difficoltà immaginabili a Sextantio e anche tante preoccupazioni per tutti quando un ragazzo dello staff dell’hotel di Matera si è ammalato. “Abbiamo superato tante cose, supereremo anche questa” conclude Daniele con un ottimismo misto a realismo. Lo sa bene che Sextantio potrebbe essere l’hotel perfetto per questo periodo: isolato, sicuro, lontano da tutti. “Ma non riuscirei mai a fare questo genere di pubblicità che mi sembra squallida, triste” ci dice.
Vediamo cosa porterà il 2021. Santo Stefano di Sessanio e Sextantio ne hanno passate tante assieme.
Secondo noi il film si merita un lieto fine, e Sextantio di essere considerato universalmente il modello di sviluppo imprenditoriale replicabile e politicamente sostenibile che ha sempre voluto essere.
Sextantio
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Quando sarete pronti a riprendere a viaggiare, considerate una vacanza in Abruzzo e a Sextantio di Santo Stefano di Sessanio.