Il flusso di turisti negli Stati Uniti sta calando. I consigli di viaggio emessi dai governi degli altri paesi danno un’idea del perché, ma possono anche essere un po’ esagerati.
Nessuno visita più gli Stati Uniti.
Se seguite alcune delle segnalazioni allarmistiche dell’industria del turismo e delle agenzie di viaggio, potreste iniziare a crederci. Nel 2018 quasi 80 milioni di visitatori stranieri hanno fatto dei viaggi negli Stati Uniti. Se sembra molto, lo è. In effetti, è un record. Eppure, era anche la fetta più piccola del mercato turistico internazionale in totale dal 2006.
Ciò significa che l’industria dei viaggi sta crescendo in tutto il mondo e sta lasciando indietro gli Stati Uniti.
Le altre statistiche sono decisamente deprimenti. Nel 2015 le visite negli Stati Uniti hanno rappresentato il 13,7% dei viaggi globali. Quel numero continua a diminuire e ora “prevede di scivolare ulteriormente al 10,9% entro il 2022, pari a altri 41 milioni di turisti stranieri in meno”, secondo un rapporto di agosto. “In quello scenario, i viaggiatori spenderebbero $180 miliardi in meno e ci sarebbero 266.000 posti di lavoro in meno rispetto a al caso in cui la quota di mercato fosse rimasta la stessa”.
La colpa è in parte dell’economia. Un dollaro forte rende l’America più costosa per i viaggiatori stranieri. Ma ci sono anche altri fattori da considerare. Come ogni viaggiatore, commerciante o capo di stato potrebbe dirvi, la percezione di un luogo ha un impatto tangibile sul desiderio di visitarlo. Negli ultimi anni, potreste averlo notato, gli Stati Uniti hanno subito alcuni cambiamenti che potrebbero influenzare la sua reputazione sulle brochure di viaggio del mondo. Il termine alla moda utilizzato dalle riviste di viaggio a Forbes per questo fenomeno è stato il “Trump Slump”.
Ma, naturalmente, questa è una speculazione. Per sapere davvero come gli stranieri, o i loro governi, vedono il paese, il primo posto dove guardare sono i loro consigli di viaggio.
Prima di tutto, gli avvisi di viaggio non sono sempre estremamente negativi. A volte sono più frivoli, e riflettono le loro differenze culturali. Per esempio l’Australia mette in guardia sul costo delle pesanti multe data a chi attraversa la strada fuori dalle strisce pedonali, l’Italia sui rischi di truffa a Times Square, e la Francia e la Germania ci tengono a segnalare che il topless è vietato negli Stati Uniti sia per gli adulti che per i bambini.
Tra tutte le insidie finanziarie di cui potrebbe avvertire i suoi cittadini, il Regno Unito sceglie di puntare il dito sul costo della benzina vicino all’aeroporto di Orlando.
Certo, le avvertenze di viaggio possono anche mettere in evidenza delle mancanze del governo. Come quando i viaggiatori diretti in America leggono di quanto sia importante acquistare un’assicurazione di viaggio speciale per coprire i costi sanitari esorbitanti del paese, o di stare in guardia per le tensioni razziali. In risposta alla legge dell’Arizona del 2010, che impone agli immigrati ( o quelli che appaiono tali) di avere sempre a portata di mano i documenti per provare di non essere qui illegalmente, il Ministero degli Esteri messicano ha informato i suoi cittadini che “potrebbero essere fermati e interrogati senza motivo in qualsiasi momento”. Durante le proteste di Black Lives Matter nel 2016, le Bahamas hanno consigliato ai giovani di “esercitare estrema cautela nelle loro interazioni con la polizia”.
Nel corso degli anni Irlanda, Germania, Canada e Nuova Zelanda hanno suggerito a tutti i loro cittadini di fare attenzione alla violenza dovuta all’uso delle armi in America. Già nel 2015 l’Australia affermava che in America “le incidenze in cui è coinvolta un’arma da fuoco” sono più probabili che in Australia.
Dopo l’ultima ondata di sparatorie di massa di questa estate, questa lista è cresciuta per includere Giappone, Uruguay, Venezuela e persino il gruppo per i diritti umani Amnesty International (che di solito non lo fa).
Infatti, nonostante tutti i pericoli in tutto il resto del mondo, Amnesty International ha emesso un avviso di viaggio solo contro gli Stati Uniti. Il punto non era tanto di proteggere i possibili viaggiatori, quanto piuttosto di aumentare la consapevolezza sul problema usando per questo la stampa. Era, in effetti, “più un espediente che un consiglio utile”.
40,000 retweets dopo, era chiaro che avesse funzionato.
Tale è infatti il potere delle avvertenze di viaggio, anche senza che ce ne accorgiamo, che riesce a colpire l’immaginazione pubblica e influenzare la sua percezione di un paese.
Le ragioni del declino dei viaggi internazionali in America sono complicate, ma un esempio molto citato è quello della guerra commerciale con la Cina. Ed è un altro punto in cui i viaggi anche di piacere diventano più chiaramente politicizzati. Nel 2018 il numero di visitatori cinesi negli Stati Uniti è diminuito all’improvviso, dopo 15 anni di crescita sostenuta. Ancora una volta è indubbio che anche qui l’economia abbia fatto la sua parte, con uno yuan svalutato rispetto al dollaro. Ma non possiamo dimenticare che alla base ci potrebbe anche essere un problema di percezione del paese come meta di viaggio, visto che i cittadini cinesi scelgono ora di visitare paesi con relazioni internazionali meno tese con il loro paese.
Un recente articolo del New York Times cita professionisti dell’industria turistica ed economisti che accusano la “retorica infiammatoria” della guerra commerciale per la scarsità di visitatori cinesi negli Stati Uniti. Non è difficile mettere le due cose assieme, in effetti: solo un mese dopo che il presidente Trump ha twittato la sua intenzione di imporre tariffe enormi sulle importazioni cinesi, la Cina ha lanciato un avviso di viaggio ai suoi cittadini in merito alle “molestie” da parte delle autorità statunitensi.
Come alcuni esperti hanno sottolineato, la politicizzazione dei viaggi è una preoccupazione costante. Usando l’esempio del caso “in cui la Cina essenzialmente ha armato il turismo” in una disputa del 2017 con la Corea del Sud, un consulente ha spiegato come la pressione da parte dei funzionari cinesi ha portato il turismo cinese in Corea del Sud a diminuire del 50%, ad esempio costringendo le agenzie di viaggio a cancellare le escursioni.
Se lo stesso accadesse in America, come ipotizzava un rapporto su questo scenario, significherebbe “un colpo da 18 miliardi di dollari all’industria dei viaggi americana”.
È un caso estremo, ovviamente, ma il fatto che il turismo possa essere usato come un’arma non dovrebbe sorprendere. In effetti, la nuova avvertenza della Cina per il 2019 è arrivata circa un anno dopo quella emessa nell’estate del 2018. Con simili controversie commerciali come sfondo, il governo ha avvertito i suoi turisti di “costose spese mediche, minacce di sparatorie pubbliche e rapine” negli Stati Uniti.
Come hanno reagito i funzionari statunitensi? Senza battere ciglio hanno consigliato agli americani di esercitare una maggiore cautela in Cina a causa “dell’applicazione arbitraria delle leggi locali e di speciali restrizioni per i cittadini che hanno la doppia cittadinanza statunitense e cinese”.