La rivista Holiday raggiunse il suo apice durante l’età d’oro dei viaggi e dell’editoria. Ma, come spesso succede quando parliamo di nostalgia, non era proprio dorata come sembrava.
Se non conoscete la rivista Holiday non siete i soli.
Nel mondo delle riviste di viaggio fu un prodotto classico di alta qualità, dal design irresistibile, in vendita negli Stati Uniti dal 1946 al 1977. Nel 1962, al suo apice, Holiday ha venduto quasi un milione di copie. Qui venne pubblicato il lavoro di scrittori famosi come Kerouac, Capote e Hemingway, Faulkner, Bowles e Steinbeck. Un articolo su Holiday che parlava di New York ed era firmato da E.B. Bianco ora viene venduto separatamente con copertina rigida.
Se ci pensate bene, nel 1946 i viaggi aerei stavano appena iniziando a decollare. In un’epoca in cui c’era bisogno di un’agenzia specializzata per sentire parlare di una nuova destinazione, Holiday era l’unico modo per avere il viaggio a portata di mano. Ed era, a quanto si dice, una rivista degna di questa responsabilità.
“Non c’era mai stato niente di simile prima nel mondo delle riviste “, spiega Pamela Fiori, che ha iniziato la sua carriera proprio nei suoi uffici come verificatrice di fatti. Oggigiorno è ancora più difficile fare un confronto, le cose sembrano essere tutte a portata di un click. Si trattava del “periodo d’oro” dei viaggi, e quello dell’editoria di riviste. Oggi, non c’è davvero nessuna possibilità che una rivista di viaggi possa avere le stesse “dimensioni, ampiezza o profondità. E lo so per esperienza ”, aggiunge Fiori. Del resto è stata il redattore capo di Travel and Leisure e Town & Country.
Dopo esserci assicurati il numero di marzo 1955 grazie ad un’asta online, e avendo limitato i nostri viaggi involontariamente a causa del COVID-19, ci siamo quindi dedicati a leggere questa guida dettagliate e abbiamo letto una serie di articoli che ci hanno portato in posti come:
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Il Parlamento britannico, dove un vecchio Winston Churchill “siede con il suo auricolare … tenuto all’orecchio come un occhialino sonoro” nella camera. La mia stanca guida di viaggio americana mi dice che “il termine politico non ha ancora acquisito un significato dispregiativo in Gran Bretagna”.
- Negli uffici di Holiday a Filadelfia, dove gli editori rilegati alla scrivania fissano “fuori dalle nostre finestre sporche… pensando con invidia e gelosia a ciò che alcuni dei nostri collaboratori stanno facendo in questo preciso momento.” Quasi per dimostrare questo concetto, un fotografo arriva proprio in quel momento “di ritorno dal Brasile con la sua Leica”.
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In quasi tutte le città della costa orientale, dove una serie di aristocratici lamentano la morte imminente dell’alta società sostenedo che “la vita ha perso tutta la sua serenità”. “Tutti hanno tanta fretta”, la signora G. Alexander McKinlock si volta verso di noi e piange: “Guarda il Saturday Evening Post. Arriva di martedì.”
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Nell’appartamento a Manhattan di Dave Garroway, il primo presentatore del The Today Show che, come mi è stato detto, è ora “una delle storie di successo della TV”. Non della televisione del 1955, intendiamoci, o dei programmi televisivi mattutini, ma della TV – come apparecchio.
Auguriamo quindi a questo nuovo mezzo di comunicazione tanto successo, e voltiamo pagina.
Per quanto sia stato piacevole conoscere “Jolly Cholly” Grimm, non abbiamo comprato questo numero per la sua storia sul baseball. Abbiamo scelto appositamente Holiday del marzo 1955 per un articolo firmato da Arthur Miller: “A Boy Grew in Brooklyn.”
Si tratta di un ricordo di solo sette pagine che racconta del quartiere di Brooklyn in cui Miller è cresciuto. Dopo avere viaggiato indietro nel tempo fino al 1955, ora accompagniamo Miller attraverso un tunnel spaziale fino alla sua infanzia a Brooklyn prima e durante la Grande Depressione. Si tratta di un viaggio che ci permette di entrare completamente in una nuova dimensione, quella ricca della nostalgia che un uomo ha per la sua città di una volta e che non esiste più.
Eccone un estratto:
“Era un villaggio, e le persone morivano come gli olmi, e non conosco quelli che vivono nelle loro case adesso. Ci torno di tanto in tanto, ma sarò io che non sono più giovane o le persone che sono cambiate, so solo che lì tutto mi sembra estraneo e io per questo posto risulto strano come se non l’avessi mai conosciuto.
Le macchine, per prima cosa, incagliano paraurti contro paraurti lungo i marciapiedi delle strade dove c’era così tanto spazio libero che potevamo fare delle partite con le nostre prime automobiline, e andare avanti e indietro e su e giù sui marciapiedi e non trovare mai ostacoli da nessuna parte. E le persone sembrano entrare e uscire più spesso di prima, e ce ne sono molte che hanno vissuto lì da cinque o sei anni i cui vicini della porta accanto ancora non sanno cosa fanno per vivere, o conoscono a malapena i loro nomi.
La farmacia ora ha una facciata cromata con luci fluorescenti, e il giovane signor Dozik è un uomo dai capelli grigi. Sono state installate molte finestre panoramiche per avere una visione migliore del muro nel vialetto della casa accanto. E quando qualcuno guarda fuori dalla finestra, tutte i vicini sono comunque lì a guardare la televisione.”
Facciamo del nostro meglio per capire il suo punto di vista. Leggiamo come sia importante la memoria, e il ricordo dei viaggi, e come i ricordi siano l’unica cosa che resta quando te ne vai, sempre, e come in fondo questi almeno ce li abbiamo ancora, non importa quanto tempo restiamo bloccati a casa. Voltiamo pagina e un annuncio ci suggerisce di noleggiare una Volkswagen “per un viaggio in Europa più piacevole”. E perdiamo il filo del discorso.
Su Vanity Fair, un altro magazine che ammira il vecchio Holiday, riassumono la sua importanza: “non era solo una rivista di viaggi, era cultura.” È vero. Il profilo su Garroway non ha nulla a che fare con Manhattan, il pezzo sul Parlamento ha poco a che fare con i viaggi in Gran Bretagna, e lo stesso si può certamente dire della storia sulla famiglia Du Pont, degli abiti da cocktail e dei lamenti sull’arte obsoleta “delle conversazioni civilizzate non controverse “di Clifton Fadiman. Nella migliore delle ipotesi, Holiday era un modo più espansivo di pensare ai viaggi e alla scrittura di viaggio – come un prisma per guardare in giro per il mondo e diventarne un cittadino – più che una semplice guida alle sue attrazioni.
Ma se Holiday era cultura, va anche detta una parola per il viaggiatore di oggi che la legge dall’inizio alla fine: non è impeccabile. La nostalgia per la cosiddetta età d’oro del viaggio spesso ignora il fatto che l’età d’oro del viaggio era elitista in modo davvero schiacciante, e oscura alcune delle realtà più difficili da capire dell’età d’oro di Holiday.
Facciamo ancora un po’ di ricerca e tutto quello che leggiamo su questa rivista ne loda l’importanza, e la indica come uno dei periodici d’America più importanti e meglio scritti del tempo. Non era solo una rivista di viaggi, ma anche vera e propria letteratura. Non lo disputiamo. Ma se è letteratura, è anche il riflesso del canone letterario maschile americano bianco del tempo, e senza dubbio manca di diversità. Come tutto a quel tempo.
Per quanto scritti bene ed interessanti – come la gemma firmata da Arthur Miller – troviamo sezioni, come ad esempio il pezzo sull’America centrale, con interi paragrafi di generalizzazioni sulla razza delle persone vi abitano. Oggi articoli di questo genere sembrano volerci dare uno schiaffo per farci riflettere sul modo di pensare degli anni ’50.
Un altro anacronismo per il viaggiatore moderno, anche se molto più leggero, è dato da tutto quello che sta tra un articolo e l’altro. Anche se la rivista non si limitava solo ai viaggi, gli annunci erano invece piuttosto specifici e spesso molto diversi da quelli a cui siamo abituati oggi. Prendiamo ad esempio gli annunci delle varie compagnie aeree che pubblicizzavano non solo la qualità dell’esperienza di volo, ma il motore stesso che la rendeva possibile. Sabena, Trans-canada, Swiss Air, tutti ostentavano i loro “motori a turbina a elica Rolls-Royce”. Quando è stata l’ultima volta che vi siete chiesti chi ha realizzato il motore dell’aereo su cui salite? Ora guardiamo prezzo e orario, piuttosto che la marca del motore.
Cero che i tempi sono davvero cambiati! I viaggi aerei allora erano cinque volte più costosi, e cinque volte più fatali. E se sopravvivete alla turbolenza in volo, potete solo sperare che lo faccia anche il divisorio di vetro che separava la prima classe dal quella economica. Certo, l’aereo era decisamente meno pieno.
Erano gli albori del turismo come lo conosciamo oggi. I viaggi aerei iniziarono a diffondersi per gli americani solo dopo la seconda guerra mondiale. Guardate tutti gli annunci delle riviste per luoghi di villeggiature nei collage sottostanti. Mentre oggi potremmo prendere in considerazione l’idea di partire per un posto nuovo come un’avventura, un’opportunità per lasciare il nostro mondo e sperimentare qualcosa di nuovo, nel 1955 il business dei viaggi agli albori persuadeva piuttosto i lettori prudenti promettendo niente altro che svago e divertimento. Non un’avventura, ma una vacanza. Non doveva essere intrepida ed illuminante, ma sicura e familiare.
Abbiamo fatto molta strada da allora. E quando saremo definitivamente fuori da questa epidemia, ci piacerebbe riavere un po’ di spazio per le gambe in aereo come avevano un tempo, ma senza il pericolo e la discriminazione che erano associati ai viaggi. Vorremo avere la possibilità di rivedere il viaggio come un mezzo di profonda riflessione, non solo una comoda fuga che possiamo dare per scontata. Vorremo vedere il viaggio nello stesso modo in cui Fiori vedeva le vacanze: come un modo per “raccontare una storia completa di un luogo o di un paese …” Di un borgo. Di un’infanzia. Vorremo prendere l’oro dall’età d’oro dei viaggi e lasciarci il resto alle spalle.
Se siete interessati a leggere Holiday, potete trovare le vecchie edizioni e alcuni articoli selezionati online. Inoltre, una nuova versione di Holiday fu rilanciata nel 2014 come pubblicazione biennale in inglese ma con sede a Parigi.